Puccini

Andrea Licata, direttore

  • Luogo

  • Politeama Garibaldi

  • Giorno

    ora

    Durata

    Prezzo

     

  • Giorno

    Venerdì
    13 Dicembre 2024

    Ore

    21,00

    Durata

    90min.

    Prezzi

    30 - 15 €

    Calendario

  • Giorno

    Sabato
    14 Dicembre 2024

    Ore

    17,30

    Durata

    90min.

    Prezzi

    30 - 15 €

    Calendario

Monica Zanettin soprano

Claire Coolen soprano

Murat Karahan tenore

Riccardo della Sciucca tenore

Ideogamma proiezioni

 

  • Programma

  • Giacomo Puccini
    Lucca, 1858 – Bruxelles, 1924

    Recondite Armonie (Anniversario della morte di Giacomo Puccini 1924/2024)

    Le Villi                      Preludio           

    Le Villi                      Se come voi piccina io fossi    Claire Coolen

    Le Villi                      Torna ai felici dì                     Riccardo Della Sciucca

    Edgar                         Preludio Atto III       

    Manon Lescaut        Donna non vidi mai…           Murat Karahan

    Manon Lescaut        In quelle trine morbide           Monica Zanettin

    Manon Lescaut        Intermezzo     

    La Bohème                Che gelida manina                 Murat Karahan

    La Bohème                Donde lieta                             Monica Zanettin

    La Bohème                Quando m'en vo’                   Claire Coolen

    Tosca                         Recondita armonia                 Murat Karahan

    Tosca                         Qual’occhio al mondo…        Murat Karahan/ Monica Zanettin

    Madama Butterfly      Intermezzo

    Madama Butterfly   Vogliatemi bene                      Riccardo Della Sciucca/Monica Zanettin

    Madama Butterfly   Addio fiorito asil                    Riccardo Della Sciucca

    Madama Butterfly   Un bel dì vedremo                  Monica Zanettin

    Fanciulla del West   Ch’ella mi creda…                 Murat Karahan

    La Rondine               Ma come puoi lasciarmi         Riccardo Della Sciucca

    La Rondine               Chi il bel sogno di Doretta     Claire Coolen

    La Rondine               Bevo al tuo fresco sorriso       Karahan/Zanettin/Coolen/Della Sciucca

    Suor Angelica           Intermezzo     

    Suor Angelica           Senza mamma                         Monica Zanettin

    Gianni Schicchi        O mio babbino caro                Claire Coolen

    Gianni Schicchi        Firenze è come un albero        Riccardo Della Sciucca

    Turandot                   Nessun dorma                         Murat Karahan

     

    Dopo alcune composizioni giovanili, Puccini si affacciò al teatro musicale con Le Villi, opera in un atto, composta per un concorso bandito dall’editore Sonzogno e annunciato dalla rivista «Il Teatro Illustrato» il 1° aprile 1883. Egli partecipò al concorso su esortazione del suo insegnante al Conservatorio di Milano, l’operista Amilcare Ponchielli, che gli consigliò di rivolgersi a Ferdinando Fontana per il libretto, da lui inizialmente scritto per un altro compositore, molto probabilmente il famoso autore di romanze da salotto Francesco Quaranta. Il concorso non ebbe l’esito sperato dal momento che l’opera non solo non vinse, ma non figurò nemmeno tra le prime 5 degne di menzione. L’opera sarebbe andata in scena grazie all’inte­ressamento di Fontana e a una sottoscrizione a cui parteciparono lo stesso Sala che fece una consistente offerta, il duca Litta, il duca Melzi, il giornalista Noseda e Boito il quale ottenne anche dall'impresario del Teatro Dal Verme la disponibilità del Teatro. Le Villi ebbe così la sua rivalsa sulla bocciatura nel concorso, il 31 maggio 1884, sotto la direzione di Arturo Panizza con Rosina Caponetti (Anna), Antonio D'Andrade (Roberto), Erminio Peltz e con un giovanissimo Pietro Mascagni al contrabbasso in orchestra. Opera giovanile, Le Villi mostra quella facilità melodica che contraddistingue la vena pucciniana, evidente già nel Preludio (Andante mosso), nonostante non manchino alcune influenze verdiane e francesi. L’inciso iniziale della romanza di Anna Se come voi piccina non può non ricordare, infatti, il tema del destino della Carmen di Bizet, anche se la sua morbidezza e la sua naturalezza, insieme alla successiva apertura melodica, preannunciano gli esiti della futura arte del compositore lucchese.

    Su commissione di Giulio Ricordi, che aveva acquistato la partitura e tutti i diritti inerenti alle rappresentazioni de Le Villi, Puccini compose Edgar, la cui stesura lo impegnò dal mese di luglio 1884 all'autunno del 1888. L’opera, rappresentata alla Scala il 21 aprile 1889 sotto la direzione di Franco Faccio con un cast di tutto rispetto formato da Romilda Pantaleoni (Tigrana), Aurelia Cattaneo (Fidelia), Gregorio Gabrielesco (Edgar) e Antonio Magini Coletti (Frank) ebbe soltanto un successo di stima e appena due repliche. I critici, pur riconoscendo a Puccini progressi a livello tecnico rispetto alle Villi e apprezzando alcune pagine dell’opera, non furono molto benevoli. Sebbene opera giovanile, Edgar mostra una mano sicura nella delineazione vocale dei personaggi espressa, con accenti di rara forza, nella parte di Tigrana e in una scrittura che anticipa il Des Grieux della Manon Lescaut nella romanza di Edgar O soave vision che si segnala per un intenso lirismo. Tra le pagine più interessanti della partitura si segnalano la romanza di Roberto Torna ai dì felici, aggiunta da Puccini in occasione della prima scaligera avvenuta il 24 gennaio 1885, e lo splendido Preludio al terzo atto.

    Dopo il deludente esito di Edgar per Puccini si presentò il problema della ricerca di un nuovo soggetto. Alla fine, probabilmente sulla scia del successo che la Manon di Massenet stava riscuotendo all'Opéra-Comique di Parigi (1884), egli decise di riprendere un progetto suggeritogli da Ferdinando Fontana. Per Fontana fu, però, una delusione apprendere, quattro anni dopo, che Puccini aveva già affidato la redazione del libretto ad altri. La delusione di Fontana, molto probabilmente, sarà stata mitigata dall’aver saputo, in seguito, che il libretto di Manon fu il risultato del lavoro di un’equipe di librettisti e in particolare di Luigi Illica, Marco Praga, Domenico Oliva e Giuseppe Giacosa. Dopo tante tribolazioni, Manon Lescaut, completata nel mese di ottobre 1892, poté andare in scena al Teatro Regio di Torino il 1° febbraio 1893 sotto la direzione di Alessandro Pomè e con Cesira Ferrani (Manon), Giuseppe Cremonini (Des Grieux), Achille Moro (Lescaut) e Alessandro Polonini (Geronte di Revoir). La serata fu un trionfo sia di pubblico, che chiamò 30 volte l'autore e gli interpreti, sia di critica. Nella romanza Donna non vidi mai, tratta dal primo atto, Des Grieux esprime la sua meraviglia di uomo già innamorato di fronte alla bellezza di Manon, che, nell’atto secondo, triste, nonostante viva nel lusso offertogli dal vecchio Geronte, manifesta al fratello, che l'ha appena ritrovata, il suo rimpianto per la vita misera ma felice con Des Grieux (In quelle trine morbide). Ad aprire l’atto terzo è, infine, il celeberrimo intermezzo che anticipa il triste destino dei due amanti e la morte di Manon. Dal punto di vista formale l’intermezzo è aperto da un’introduzione basata su due Leitmotiv, già ascoltati nell’opera, a cui segue un Andante calmo, caratterizzato da un tema di bruciante passione.

    Il trionfo di Manon Lescaut sembrava aver dato nuova linfa alla vena musicale di Puccini tanto da fargli pensare a una nuova opera del cui soggetto aveva già ben chiare le idee, come si apprende da una lettera inviata al suo biografo Fraccaroli:

    "Vuoi sapere la verità vera? È nata in un giorno di pioggia ch'io non sapevo cosa fare, e mi son messo a leggere un libro che non conoscevo. Si chiamava Scènes de la vie de Bohème, autore Henry Murger. Il libro mi conquistò di colpo".

    Pur poco convinto, Ricordi accettò l'idea di Puccini di comporre la Bohème, tratta dal romanzo di Mürger, Scènes de la vie de Bohème, e affidò la stesura del libretto alla collaudata coppia Illica-Giacosa. Anche per quest'opera, tuttavia, non mancarono problemi e tribolazioni con i librettisti, che più volte minacciarono di non completarla. A questi problemi si aggiunse anche la polemica con Ruggiero Leoncavallo che nel frattempo stava lavorando alla sua Bohème. Dopo un estenuante lavoro, l’opera, completata anche nell’orchestrazione, il 10 dicembre 1895, come si apprende da quanto scritto sull’autografo della partitura, fu rappresentata il 1° febbraio 1896 al Teatro Regio di Torino sotto la direzione di Arturo Toscanini con Evan Gorga (Rodolfo), Cesira Ferrani (Mimì), Tieste Wilmant (Marcello), Camilla Pasini (Musetta) e Antonio Pini-Corsi (Schaunard) ottenendo un buon successo di pubblico, sebbene non paragonabile a quello di Manon Lescaut con la quale fu posta a confronto dalla critica non sempre tenera. Nella famosa romanza Che gelida manina, Rodolfo, già colpito dalla bellezza della donna, ne approfitta per prenderle la mano e presentarsi. Con Donde lieta uscì, nella quale Mimì dice addio a Rodolfo, si passa al terzo atto. Con il famoso Valzer di Musetta (Quando m’en vo’) si torna al secondo, che si svolge presso il Caffè Momus, dove, Musetta, appena entrata, alla vista del suo vecchio amante Marcello, per attirarne l’attenzione, si lascia andare ad atteggiamenti civettuoli.

    Composta tra il 1896 e il 1899, Tosca, alla prima rappresentazione avvenuta al Teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio 1900 sotto la direzione di Leopoldo Mugnone con Hariclea Darclée (Tosca), Emilio De Marchi (Cavaradossi) ed Eugenio Giraldoni (Scarpia), ebbe un notevole successo nonostante l’esecuzione non proprio perfetta che destò qualche perplessità presso la critica. Nel primo atto, Cavaradossi, contemplando la bellezza della marchesa Attavanti il cui volto aveva ritratto nel suo quadro della Maddalena, la pone a confronto con quella della sua amante Floria Tosca, alla quale vanno tutti i suoi pensieri (Recondita armonia) e con la quale duetta nel prosieguo dell’atto (Qual occhio al mondo). Nel secondo atto, Tosca, disperata, si rivolge a Dio, ricordando il bene fatto nella sua vita (Vissi d’arte), mentre in orchestra appare il tema del duetto dell’atto primo che rappresenta il suo carattere devoto.

    Un clamoroso, quanto incredibile insuccesso, occorse a Madama Butterfly alla prima rappresentazione avvenuta alla Scala di Milano il 17 febbraio 1904. Composta tra il 1901 e il 1903 su un libretto che Luigi Illica e Giuseppe Giacosa avevano tratto dalla tragedia in un atto di David Belasco, l’opera ottenne la meritata riabilitazione, in una versione leggermente modificata in tre atti, al Teatro Grande di Brescia appena tre mesi dopo, il 28 maggio. Collocato, nella versione originaria tra la prima e la seconda parte del secondo atto e spostato all’inizio del terzo atto in quella definitiva, il celebre Intermezzo fa ascoltare alcuni dei Leitmotiv dell’opera che ha nella parte finale del duetto conclusivo tra Pinkerton e Cio-Cio-San del primo atto (Vogliatemi bene) uno dei momenti di più alto e intimo lirismo grazie alla calda e dolcissima voce del violino solista che intona una delle melodie più struggenti tra quelle scritte da Puccini. Nella romanza Addio fiorito asil, introdotta nel terzo atto della versione definitiva, Pinkerton, alla vista della casa, manifesta tutto il suo rimpianto (Addio fiorito asil) e fugge preso dal rimorso. Tratto dal secondo atto, Un bel dì vedremo esprime l’amore mai venuto meno di Butterfly che trova accenti di intenso e commosso lirismo nell’incantato sogno del ritorno di Pinkerton.

    Nei sette anni che separano Madama Butterfly da La fanciulla del West, Puccini non rimase certo inoperoso, dedicando il suo tempo non solo ai viaggi per seguire le rappresentazioni della sua ultima opera, ma anche alla ricerca di un nuovo soggetto. La scelta, alla fine, ricadde su un altro dramma di Belasco, The Girl of the Golden West, dal quale Guelfo Civinini e Carlo Zangarini trassero il libretto. Portata a termine il 15 agosto 1910, l’opera ebbe la prima rappresentazione al Metropolitan Opera di New York il 10 dicembre dello stesso anno con un cast d’eccezione, scritturato dal grande impresario Giulio Gatti-Casazza. In esso figurava, accanto ad Emmy Destinn (Minnie) e a Pasquale Amato (Jack Rance, lo sceriffo), il mitico tenore Enrico Caruso (Johnson), mentre sul podio c’era l’altrettanto mitico direttore Arturo Toscanini. Il successo fu strepitoso soprattutto presso il pubblico che chiamò ben 47 volte il compositore e gli interpreti, mentre la critica si mostrò più cauta. Cantata da Ramerrez, il bandito amato da Minnie, Ch’ella mi creda è la romanza più famosa dell’opera. In essa l’uomo, ormai scoperto, prima dell'esecuzione, dichiara di essere stato un ladro, ma non un assassino e dà l’ultimo saluto a Minnie.

    Nell’ottobre del 1912, mentre Puccini stava già lavorando alla composizione del Tabarro, in occasione di una rappresentazione a Vienna della sua Fanciulla del West, fu contattato da Otto Eibenschütz e da Heinrich Berté, all’epoca direttori del Carl-Theater, per la composizione di un’operetta dietro un lauto compenso che variava da 200000 a 400000 corone austriache a cui si aggiungeva il 50% dei diritti d’autore. L’allettante offerta, però, non suscitò l’interesse immediato del compositore che scrisse al barone Eisner, un suo amico viennese: «Io, operetta non la farò mai», aggiungendo, «opera comica, sì: vedi Rosenkavalier, ma più divertente e più organica». Quale fu, allora, la ragione che indusse Puccini a cambiare idea? È molto probabile che alla base della sua decisione di accettare di firmare il contratto con gli impresari austriaci ci sia stato un litigio con Tito Ricordi in occasione di una ripresa a Vienna di Tosca nel 1914. Puccini, indispettito, firmò il contratto con i direttori viennesi, accettando la clausola secondo la quale: «Il soggetto dovrà esser scelto dagli impresari viennesi, previa approvazione del compositore, e dovrà essere adattato alle scene da un librettista di loro scelta, A. M. Willner». Willner si mise subito al lavoro e all’inizio dell’estate inviò un canovaccio a Puccini che non rimase per niente soddisfatto. Diversa sorte, invece, toccò al libretto che lo stesso Willner scrisse insieme ad Heinz Reichert e la cui trama si ispirava sia alla Traviata che al Pipistrello. Il testo, pur non suscitando particolare entusiasmo, non dispiacque al compositore che si mise al lavoro, con la solita meticolosità, alla versione italiana del libretto approntatagli da Adami al quale, però, non mancò di esprimere qualche riserva. Adami, per facilitare il lavoro di Puccini, poco ispirato anche per la presenza dei dialoghi parlati che ostacolavano la sua vena musicale, li sostituì con versi lirici e sistemò la trama in modo da creare un libretto operistico che soddisfece non solo il compositore ma anche gli impresari viennesi i quali furono felici di avere un’opera intera del maestro italiano e non solo 10 pezzi intercalati dai dialoghi. Il contratto fu modificato in modo tale che Puccini si impegnasse a comporre un’opera sul libretto di Adami, mentre i librettisti tedeschi Willner e Reichert furono incaricati dell’adattamento in tedesco. Nacque così La rondine che, completata per la Pasqua del 1916, non poté essere subito rappresentata a causa degli eventi bellici e di alcuni problemi relativi alla pubblicazione non curata da Ricordi, ma da Sonzogno il quale suggerì Montecarlo come luogo per la première avvenuta, con grande successo, il 27 marzo 1917 con Gilda Dalla Rizza (Magda), Ines Ferraris (Lisette) e Tito Schipa (Ruggero) sotto la direzione di Gino Marinuzzi. Ma come puoi lasciarmi è lo splendido duetto conclusivo dell’opera nel quale Magda lascia definitivamente Ruggero, mentre tratta dall’atto primo è la celebre romanza Chi il bel sogno di Doretta, pagina di intenso lirismo come del resto il tema di Bevo al tuo fresco sorriso che domina la parte che va dalla seconda metà del secondo atto alla prima metà del terzo.

    Contemporaneamente alla Rondine Puccini continuò a lavorare alla prima opera del Trittico, Il Tabarro che fu completato il 25 novembre 1916, ma passò un anno prima che fossero trovati i soggetti delle altre due opere i cui libretti non furono scritti da Adami. Fu, infatti, Giovacchino Forzano a suggerire al compositore l'argomento della seconda opera da lui trattato in un vecchio dramma scritto per una compagnia di attori itineranti la cui protagonista era una suora che, venuta a conoscenza della morte del figlio avuto da una precedente relazione peccaminosa, si uccide. Nacque così Suor Angelica nella cui musica Puccini cercò di ricreare l’atmosfera conventuale conosciuta attraverso le visite nel monastero dove era suora sua sorella Iginia e dove suonò l’opera, una volta completata, il 14 settembre 1917, per verificarne l’effetto prodotto sulle monache. Suor Angelica, fu rappresentata insieme alle altre due opere del Trittico il 14 dicembre 1918 al Metropolitan di New York, assente Puccini che non poté assistere alla prima in quanto i viaggi, nonostante la guerra fosse finita, erano ancora molto difficoltosi. Pagina entrata nel repertorio sinfonico, l’Intermezzo si segnala per il lirismo dei suoi temi tra i quali spicca quello iniziale esposto dai violoncelli raddoppiati dal corno. Introdotta in occasione della prima europea al Teatro Costanzi di Roma l’11 gennaio 1919, la romanza Senza mamma è una pagina struggente nella quale Suor Angelica mostra una forza tragica che la distingue dalle altre suore.

    Ultima opera del Trittico, Gianni Schicchi è quella che ebbe maggiore successo tanto che fu definita una gemma, un capolavoro di opera comica. Famosissime sono la dolce romanza di Lauretta O mio babbino caro, dal ritmo cullante di siciliana, e quella del suo fidanzato Rinuccio, Firenze è come un albero.

    Ultima opera lasciata incompiuta a causa della morte, Turandot fu completata, all’epoca, da Franco Alfano, il cui finale, però, non fu eseguito alla prima rappresentazione avvenuta alla Scala, il 25 aprile 1926, con Rosa Raia (Turandot), Miguel Fleta (Calaf), Maria Zamboni (Liù), Carlo Walter (Timur) con la regia di Giovacchino Forzano e sotto la direzione di Toscanini. All’inizio del terzo atto, Calaf intona la celebre romanza Nessun dorma, divisa in due parti, la prima delle quali è di carattere declamatorio su un’armonia statica caratterizzata da un accordo tradizionale di sol maggiore a cui segue un bicordo (mi bemolle-si bemolle) al quale è sovrapposto un accordo per quarte (do-fa-si bemolle), completato dal re. La seconda parte, di carattere lirico, è dominata dal tema del nome e si conclude con il celebre intervallo di sesta (re-si) che risolve sul la sulla parola vincerò.

     

    Riccardo Viagrande

     

    Durata: 90'